martedì 28 aprile 2020

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LODE AI PIACERI
(della vita)


Ecco: ora io lodo i piaceri della vita.
Lodo alla mattina il caffè amaro, fumantino
da scaldar nell'ore l'animo mio sì quieto;
ché attiva le membra e le ripone lì dove
amano stare, lì nella vita. Lodo poi
l'infinita brezza del giorno, in primavera
quando il Sole accarezza lieto senza bruciare
e la pelle è rinfrescata da amabile vento:
nessun estremo, nessun eccesso in giusto mezzo.
Lodo il delicato sfiorarsi del prima e dopo
(come serpenti innamorati danzan le membra)
l'abbraccio del sesso, il donarsi com'è d'uopo
godendo sol d'un bacio, uno sguardo, un vezzo
e due anime in uno spirito io allor sento
tutti i peccati e le fetide colpe a mondare
e rendere lieti la mente e il cuore, a sera.    
Nell'intimo igiene lodo la cura di noi
l'immergersi in sparente acqua, che fluida muove
seppur alcuno la muova, per render faceto
nella pulizia del corpo quell'uomo tapino
che nello scherzo e nel gioco trova chi l'aita.

Le mie gioie quotidiane lodo, ordinarie
le semplici cose che l'esistenza costellano
a colorar l'insensata vanità del tutto:
un bicchiere di vino o di birra in compagnia
di amicizie imperiture; il pranzo e la cena
su tavole ammantate con il cibo più buono;
la contemplazione di un dipinto, la lettura
di un bel libro in solitudine, e la visione
d'un film: che faccian meditare chi li fruisca
e ne emozionino i volti annoiati dal mondo
(solo la musica lo ravviva o tale sembra)
che nonostante lo splendor del Cosmo profondo
oggi più non san meravigliarsi, e gradisca
l'essere umano i frutti delle idee e di passione
a frantumare potente quelle spesse mura
per istigarli a esser ciò che realmente sono:
liberi animali che si dannan con gran lena
per diventar divini, conquistar signoria
sul proprio sé, rifuggendo dal pensare brutto
e dall'insano amare; sicché infine suggellano
nella lode la vittoria sopra la barbarie.

*
Commento:

La poesia, in versi di quattordici sillabe, è strutturata in una forma metrica del tutto particolare: nonostante sembri infatti composta di versi sciolti, vi è una struttura speculare di dieci versi che si ripetono rimandosi al contrario, per cui, intervallati da un singolo verso - l'undicesimo, presentate una rima che si ritroverà eguale nella seconda stanza -, il decimo verso fa rima con il dodicesimo, il nono con il tredicesimo, l'ottavo con il quattordicesimo e così via, sino ad esaurire la strofa. 
Come indicato nel titolo, si tratta di una lode ai piaceri della vita, che si rivelano essere piccoli gesti e atti quotidiani, ordinari, che tutti compiono o possono compiere durante le proprie giornate, come passatempi salutari. Bere il caffè alla mattina; esporsi alla fresca brezza primaverile e alla luce solare; coccolarsi prima e dopo aver fatto l'amore; lavare i propri corpi prendendosi cura di se stessi come di qualcuno che si ami. Ma anche, proseguendo: bere dell'alcol con gli amici più cari; nutrirsi a tavola, da soli o accompagnati che sia; fruire della pittura (o dell'arte in genere), della letteratura e del cinema ad arricchire i propri poveri spiriti. 
Qui si inserisce una breve riflessione sulla natura umana. La cultura, infatti, apre all'umanità una dimensione che, presente in lui sin da bambino, crescendo essa ha via via dimenticato: la dimensione del meraviglioso, da cui sorgono tutte le speculazioni dell'intelligenza, nonché tutti i moti del sentimento, per poter, nella lotta intestina contro la servitù dell'Io agli animaleschi istinti, infine trionfare tramutandosi da uomo a dio.

venerdì 17 aprile 2020

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ROMA



Tu sei Roma, la maestosità del mondo

capital d'Italia e d'Europa una volta

quando antico mar dominavi profondo

ed il tuo nome sulla bocca d'ognuno

- popoli, condottieri e sovrani - stava

a rammentare che forza di nessuno

vincerti avrebbe potuto, città florida

di bellezza architettonica ammantata.

Roma tu sei. Che sopra all'erba rorida

costruisti straordinari monumenti

che tra strade perenni ancora permangono

e donasti pure ingenti emolumenti

alle genti tue, patrizi e plebei

ad arricchirne i corpi come anche gli animi

di spirito e cultura. Qui non sarei

a percorrer pago le linee ordinate

Tuscolana, Casilina, Cassia e Aurelia

e l'Appia antica e l'Ostiense; vie tracciate

da mani dotte e sapienti, menti sagge

oggi da noi mai sapute, altrimenti.

Più non v'è grande politica: le spiagge

dei gentili paion desolate. Ora

più non vi sono Repubblica né Impero

poiché solo il privato domina e indora

beni e servizi. E spirito non cade

in nessun luogo, né mai cultura: non

alle Torri, la periferia che evade

dalla legge, non all'Eur né a Garbatella

(di fascismo e comunismo in lotta eterna)

eterna città; né a Trieste sì bella

tra Salaria e Nomentana, o al Pigneto;

non al Quadraro, di Resistenza eroi

lì dove fu riposto il losco segreto

della libertà; nemmeno in quei Parioli

superbi, che non danno rimedio alcuno:

non ai bravi genitori, né ai figlioli

- ché dov'è eleganza oscure verità

s'ascondono -; così pure gli altri tutti

San Lorenzo, Testaccio, Cinecittà

e Flaminio e Monti, e i molti rioni

e quartieri da innumeri volti e nomi.

Allor m'accontento di quei centurioni

che da sentinelle fanno al Colosseo

o di Piazza Venezia, cuore di patria;

di Via del Corso col suo lungo corteo

di persone d'ogni paese e nazione;

della Fontana a Trevi, come del Pantheon

dimora di splendore e d'abnegazione;

di Campo de' Fiori, e Piazza Navona

che meravigliano le folle d'astanti

del Circo Massimo ch'è come un'icona

di spettacoli vari; e di Trastevere

del Ghetto, e sul fiume la Tiberina;

e di tutte le chiese che lì a ricevere

fedeli e appassionati stanno, a dare

pace a chi pace gli richiede e costellano

il Centro storico immenso ad abbondare:

Pietro, Paolo, Giovanni, Maria Maggiore

e le basiliche d'orpelli adornate;

il Pincio e i Sette colli che fanno onore

ai sette Re passati; Piazza del Popolo

di Spagna, i Fori di Cesare e Augusto

sommi tuoi numi, tra i mille capopopolo

che in te furiosi di passione abitarono.

E tra i Musei e le Terme, e il Campidoglio

tra Coppedè e le Domus di chi fondarono

ville e vigneti di cui i resti rimangono

ancor oggi, sotto strati e strati d'epoche

che sedimentate oramai non s'infrangono

sotto i colpi del Tempo; tra le attrazioni

e i misteri pagani e cristiani, vedo

cionondimeno le vetuste legioni

di aquile e di glorie, i trionfi andati

e fiero d'avvenenza giammai socchiudo

in cotal visione gli occhi innamorati. 

*
Commento:

Quest'ultima poesia è un elogio in dodecasillabi in parte sciolti, in parte rimati (dimodoché tra due versi rimati ne viene inserito uno non in rima, e codesta struttura di tre versi viene ripetuta dal principio alla fine del componimento), alla mia città, nonché alla capitale d'Italia e - per molto tempo lo fu - d'Europa. 
Ne tesso le lodi in quanto portatrice di una storia gloriosa, che è la storia dell'antico Impero romano, e del dominio del mar Mediterraneo che tanto la rese ricca di risorse e florida nella sua potenza. Ma, pure, ne lodo l'arte e la cultura, che attraversano tutti i secoli e tutte le epoche a donarle quella eternità che da tutti le è riconosciuta, in quanto città più bella sul pianeta. 
Ne nomino le strade più conosciute, e i più conosciuti quartieri, per ricordare quanto la Roma di oggi sia diversa da quella del passato: più misera, più brutta, più meschina, più debole; né taccio dei monumenti e delle chiese maggiori che la costellano in lungo e in largo, la cui presenza soltanto rende ancora accettabile, per me, vivervi dentro. 
Poiché sono tali tracce di splendore, impresse dal tempo - e non le genti, non la modernità -, a farmi amare, ora e per sempre, siffatta città meravigliosa.

giovedì 16 aprile 2020

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IL GIGLIO
(di Logos e Pathos)



Al Logos ch'è luce e verbo io dico

- pensiero e parola siano d'aiuto -:

tu illumini come Sole mio amico

la verità per l'essere canuto;

tu, mente cosciente, mia intelligenza

di Dio padre più feconda semenza.


Al Pathos ch'è fuoco e pianto e pur riso

- amore e espressione non m'abbandonino -

grido: tu accalori e contrai il mio viso

di sentimenti che al cuore si donino;

ché fondo inconscio e prepotente istinto

di Natura madre l'animo han vinto!


A voi, Logos e Pathos, entrambi

io chiedo: giammai conviver potrete

in pace nei vostri continui scambi

d'adulto e bambino; viver saprete

imitando la bellezza del giglio

che cresca su un orizzonte vermiglio?

*
Commento:

Una poesia questa, in tre stanze di sestine liriche rimate in endecasillabi, che sa di commiato alla questione eterna del conflitto tra la Ragione (il logos) e la Passione (il pathos).
La Ragione illuminata in senso proprio è ambiguamente pensiero e parola - giacché non sussiste pensiero alcuno che sia slegato dalle parole con cui si esprime -, e viene rappresentata dal Sole in quanto simbolo di verità: quello è appunto lo scopo del logos, di giungere al vero. Allo stesso tempo, Ragione vuol dire coscienza, ed intelligenza, caratteristiche non soltanto umane, ma bensì pure divine. Il Dio padre creatore è infatti definito anch'egli come Mente razionale che presiede al tutto e lo governa. 
La Passione ardente è innanzitutto amore e espressione (non espressione verbale, ma piuttosto espressione non-verbale degli stati d'animo), che dà luogo a quei sentimenti supremi che invadono il cuore di chi li prova. In opposizione all'altro principio, essa è qualcosa di inconscio, un elemento emotivo e desiderante - mentre l'altro appare quale azione intenzionale e volontà - che incarna la spontaneità dell'istinto, ovvero della Natura madre di tutti gli esseri. 
Chiedo allora a queste due Divinità, che sono presenti in ogni uomo come motivazioni e cause dei suoi comportamenti, simili a Apollo e Dioniso: potranno mai unirsi perfettamente e amalgamarsi, assieme procedendo verso una medesima direzione, come un saggio adulto che guidi il proprio bambino, e un bambino che vivifichi e ringiovanisca l'adulto che gli fa da guida? Perché la vita degli esseri umani sia paragonabile a quella di un fiore che sbocci nella sua infinita bellezza, presago di un radioso futuro. 

mercoledì 15 aprile 2020

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O' CHIADO
(il gatto che ride)



Quando io osservo

con il mio sguardo

il tuo musetto

fine e protervo

ecco che l'ieri

si pone innanzi

all'occhio servo.

Allor mi chiedo:

come potevo

simile a un nervo

che vibra e muove

esser da solo?

Ché come un cervo

che lì s'aggiri

muto nel bosco

ero e conservo

così pur oggi

la solitudine

grande coacervo

di mie mancanze

e assenze dure.


Ma tanto acerbo

quando ti vidi

piccolo e bello

non dissi verbo;

tuo miagolio

tenero e vero

il pio riserbo

dal rosso pelo

zampe minute

baffo superbo:

ciò mi sorrise

il cuor d'amore.

Ed il mio nerbo

prima già freddo

come ghiacciaio;

codesto nerbo

dico, si sciolse

davanti al Sole.

Cosa c'è in serbo

nel tuo futuro?

cosa nel mio?


Ch'io qui ti voglio

per sempre scorgere

mordermi i piedi

scriver su un foglio

la tua poesia

su te inciampare

onda su scoglio

prendermi cura

come d'un figlio.

Ora che soglio

quando mi sveglio

e quando torno

- dolce germoglio

del mio giardino -

sì salutarti

e il letto è spoglio

se tu non sei

se le tue fusa

colme d'orgoglio

non odo, sogno

nove e più vite.

*
Commento: 

Questa poesia in quinari perlopiù sciolti, ma con una rima ricorrente ogni due versi - così per ogni strofa - la scrissi per elogiare il mio gatto, che chiamai con un nome portoghese: Chiado (Ciado la pronuncia).
O' Chiado fu il soprannome, dal dubbio significato, di un poeta satirico portoghese, detto "il poeta che ride", e di cui campeggia nel centro di Lisbona, in un quartiere a lui dedicato e a cui fu assegnato lo stesso nome, una statua. Lì alloggiai una estate, in vacanza in quella città colorata e vitale che mi colpì il cuore. 
Quando presi il mio gatto era nato da pochi mesi. Mi innamorai all'istante di quel batuffolo di pelo rossastro, che giocava con il suo fratellino anch'egli roscetto. Mi prendo cura di lui da allora, nella mia casa così spaziosa e così vuota, e, se all'inizio mi sembrava quasi un peso essermi impegnato nella crescita di un altro essere vivente, ora non riesco più a immaginare i miei spazi e la mia quotidianità senza la sua presenza e invadenza felina. Lo presi con me in quanto mi sentivo solo, e lui mi fece compagnia facendomi dimenticare la mia solitudine. 
Perciò, lo ringraziai con tale componimento, che di certo non potrà mai leggere; ma il suo affetto nei miei confronti, ed il mio nei suoi, altrettanto certamente non verrà meno per questo.   

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LODE AI PIACERI (della vita) Ecco: ora io lodo i piaceri della vita. Lodo alla mattina il caffè amaro, fumantino da scal...