ROMA
Tu sei Roma, la maestosità del mondo
capital d'Italia e d'Europa una volta
quando antico mar dominavi profondo
ed il tuo nome sulla bocca d'ognuno
- popoli, condottieri e sovrani - stava
a rammentare che forza di nessuno
vincerti avrebbe potuto, città florida
di bellezza architettonica ammantata.
Roma tu sei. Che sopra all'erba rorida
costruisti straordinari monumenti
che tra strade perenni ancora permangono
e donasti pure ingenti emolumenti
alle genti tue, patrizi e plebei
ad arricchirne i corpi come anche gli animi
di spirito e cultura. Qui non sarei
a percorrer pago le linee ordinate
Tuscolana, Casilina, Cassia e Aurelia
e l'Appia antica e l'Ostiense; vie tracciate
da mani dotte e sapienti, menti sagge
oggi da noi mai sapute, altrimenti.
Più non v'è grande politica: le spiagge
dei gentili paion desolate. Ora
più non vi sono Repubblica né Impero
poiché solo il privato domina e indora
beni e servizi. E spirito non cade
in nessun luogo, né mai cultura: non
alle Torri, la periferia che evade
dalla legge, non all'Eur né a Garbatella
(di fascismo e comunismo in lotta eterna)
eterna città; né a Trieste sì bella
tra Salaria e Nomentana, o al Pigneto;
non al Quadraro, di Resistenza eroi
lì dove fu riposto il losco segreto
della libertà; nemmeno in quei Parioli
superbi, che non danno rimedio alcuno:
non ai bravi genitori, né ai figlioli
- ché dov'è eleganza oscure verità
s'ascondono -; così pure gli altri tutti
San Lorenzo, Testaccio, Cinecittà
e Flaminio e Monti, e i molti rioni
e quartieri da innumeri volti e nomi.
Allor m'accontento di quei centurioni
che da sentinelle fanno al Colosseo
o di Piazza Venezia, cuore di patria;
di Via del Corso col suo lungo corteo
di persone d'ogni paese e nazione;
della Fontana a Trevi, come del Pantheon
dimora di splendore e d'abnegazione;
di Campo de' Fiori, e Piazza Navona
che meravigliano le folle d'astanti
del Circo Massimo ch'è come un'icona
di spettacoli vari; e di Trastevere
del Ghetto, e sul fiume la Tiberina;
e di tutte le chiese che lì a ricevere
fedeli e appassionati stanno, a dare
pace a chi pace gli richiede e costellano
il Centro storico immenso ad abbondare:
Pietro, Paolo, Giovanni, Maria Maggiore
e le basiliche d'orpelli adornate;
il Pincio e i Sette colli che fanno onore
ai sette Re passati; Piazza del Popolo
di Spagna, i Fori di Cesare e Augusto
sommi tuoi numi, tra i mille capopopolo
che in te furiosi di passione abitarono.
E tra i Musei e le Terme, e il Campidoglio
tra Coppedè e le Domus di chi fondarono
ville e vigneti di cui i resti rimangono
ancor oggi, sotto strati e strati d'epoche
che sedimentate oramai non s'infrangono
sotto i colpi del Tempo; tra le attrazioni
e i misteri pagani e cristiani, vedo
cionondimeno le vetuste legioni
di aquile e di glorie, i trionfi andati
e fiero d'avvenenza giammai socchiudo
in cotal visione gli occhi innamorati.
*
Commento:
Quest'ultima poesia è un elogio in dodecasillabi in parte sciolti, in parte rimati (dimodoché tra due versi rimati ne viene inserito uno non in rima, e codesta struttura di tre versi viene ripetuta dal principio alla fine del componimento), alla mia città, nonché alla capitale d'Italia e - per molto tempo lo fu - d'Europa.
Ne tesso le lodi in quanto portatrice di una storia gloriosa, che è la storia dell'antico Impero romano, e del dominio del mar Mediterraneo che tanto la rese ricca di risorse e florida nella sua potenza. Ma, pure, ne lodo l'arte e la cultura, che attraversano tutti i secoli e tutte le epoche a donarle quella eternità che da tutti le è riconosciuta, in quanto città più bella sul pianeta.
Ne nomino le strade più conosciute, e i più conosciuti quartieri, per ricordare quanto la Roma di oggi sia diversa da quella del passato: più misera, più brutta, più meschina, più debole; né taccio dei monumenti e delle chiese maggiori che la costellano in lungo e in largo, la cui presenza soltanto rende ancora accettabile, per me, vivervi dentro.
Poiché sono tali tracce di splendore, impresse dal tempo - e non le genti, non la modernità -, a farmi amare, ora e per sempre, siffatta città meravigliosa.
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