venerdì 17 aprile 2020

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ROMA



Tu sei Roma, la maestosità del mondo

capital d'Italia e d'Europa una volta

quando antico mar dominavi profondo

ed il tuo nome sulla bocca d'ognuno

- popoli, condottieri e sovrani - stava

a rammentare che forza di nessuno

vincerti avrebbe potuto, città florida

di bellezza architettonica ammantata.

Roma tu sei. Che sopra all'erba rorida

costruisti straordinari monumenti

che tra strade perenni ancora permangono

e donasti pure ingenti emolumenti

alle genti tue, patrizi e plebei

ad arricchirne i corpi come anche gli animi

di spirito e cultura. Qui non sarei

a percorrer pago le linee ordinate

Tuscolana, Casilina, Cassia e Aurelia

e l'Appia antica e l'Ostiense; vie tracciate

da mani dotte e sapienti, menti sagge

oggi da noi mai sapute, altrimenti.

Più non v'è grande politica: le spiagge

dei gentili paion desolate. Ora

più non vi sono Repubblica né Impero

poiché solo il privato domina e indora

beni e servizi. E spirito non cade

in nessun luogo, né mai cultura: non

alle Torri, la periferia che evade

dalla legge, non all'Eur né a Garbatella

(di fascismo e comunismo in lotta eterna)

eterna città; né a Trieste sì bella

tra Salaria e Nomentana, o al Pigneto;

non al Quadraro, di Resistenza eroi

lì dove fu riposto il losco segreto

della libertà; nemmeno in quei Parioli

superbi, che non danno rimedio alcuno:

non ai bravi genitori, né ai figlioli

- ché dov'è eleganza oscure verità

s'ascondono -; così pure gli altri tutti

San Lorenzo, Testaccio, Cinecittà

e Flaminio e Monti, e i molti rioni

e quartieri da innumeri volti e nomi.

Allor m'accontento di quei centurioni

che da sentinelle fanno al Colosseo

o di Piazza Venezia, cuore di patria;

di Via del Corso col suo lungo corteo

di persone d'ogni paese e nazione;

della Fontana a Trevi, come del Pantheon

dimora di splendore e d'abnegazione;

di Campo de' Fiori, e Piazza Navona

che meravigliano le folle d'astanti

del Circo Massimo ch'è come un'icona

di spettacoli vari; e di Trastevere

del Ghetto, e sul fiume la Tiberina;

e di tutte le chiese che lì a ricevere

fedeli e appassionati stanno, a dare

pace a chi pace gli richiede e costellano

il Centro storico immenso ad abbondare:

Pietro, Paolo, Giovanni, Maria Maggiore

e le basiliche d'orpelli adornate;

il Pincio e i Sette colli che fanno onore

ai sette Re passati; Piazza del Popolo

di Spagna, i Fori di Cesare e Augusto

sommi tuoi numi, tra i mille capopopolo

che in te furiosi di passione abitarono.

E tra i Musei e le Terme, e il Campidoglio

tra Coppedè e le Domus di chi fondarono

ville e vigneti di cui i resti rimangono

ancor oggi, sotto strati e strati d'epoche

che sedimentate oramai non s'infrangono

sotto i colpi del Tempo; tra le attrazioni

e i misteri pagani e cristiani, vedo

cionondimeno le vetuste legioni

di aquile e di glorie, i trionfi andati

e fiero d'avvenenza giammai socchiudo

in cotal visione gli occhi innamorati. 

*
Commento:

Quest'ultima poesia è un elogio in dodecasillabi in parte sciolti, in parte rimati (dimodoché tra due versi rimati ne viene inserito uno non in rima, e codesta struttura di tre versi viene ripetuta dal principio alla fine del componimento), alla mia città, nonché alla capitale d'Italia e - per molto tempo lo fu - d'Europa. 
Ne tesso le lodi in quanto portatrice di una storia gloriosa, che è la storia dell'antico Impero romano, e del dominio del mar Mediterraneo che tanto la rese ricca di risorse e florida nella sua potenza. Ma, pure, ne lodo l'arte e la cultura, che attraversano tutti i secoli e tutte le epoche a donarle quella eternità che da tutti le è riconosciuta, in quanto città più bella sul pianeta. 
Ne nomino le strade più conosciute, e i più conosciuti quartieri, per ricordare quanto la Roma di oggi sia diversa da quella del passato: più misera, più brutta, più meschina, più debole; né taccio dei monumenti e delle chiese maggiori che la costellano in lungo e in largo, la cui presenza soltanto rende ancora accettabile, per me, vivervi dentro. 
Poiché sono tali tracce di splendore, impresse dal tempo - e non le genti, non la modernità -, a farmi amare, ora e per sempre, siffatta città meravigliosa.

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