venerdì 20 marzo 2020

...


SIGILLO
(di passaggio)



Sei di pietra e sei di roccia

paese mio d'infanzia, sei di terra

di legno polveroso e d'argilla

e sui sentieri tuoi senza nome

sugli immacolati monti

cammino, ripercorrendo

di giovinezza i lieti percorsi

intrecciati, turbolenti

come quelli d'uno che qui visse

le festose fresche estati.

Scorgo le case tue diradate

con sguardo d'adulto, e le amo

come pur le amavo un tempo

andato (mai tornerà).

Scorgo il tuo fiume sinuoso

e le fontane dall'acqua limpida;

d'intorno le gelide cascate

che nel loro fluido scorrere

unica fonte di vita

mostrano in mezzo alla morte

immobile tempo senza tempo.  

Ma adesso la quiete invade

le mie membra stanche, e il silenzio

assordante mi brucia gli orecchi:

più non ho gioia nel ritornare

ma noia deserta inabitata

e malinconia tra le pie voci

di bambini, tra le risa

fanciullesche e prive di pensieri

come per gioco scacciati;

tra i tanti anziani respiri

- rugosi i pacificati volti -

dei vecchi che ad altro mai aspirano

sento, e non sento altro.

Solo tu sei, oh mio paese

come l'anima mia senza fondo;

da tutti abbandonato, da chi

più ti godette in passato.

Ma un ciclo è finito e un altro

inizierà in tal piccola valle

un giorno, ed io sarò qui ancora

a ristorar d'acqua e cibo e sonno

il corpo mio ora maturo. 

*
Commento:

Sigillo è il nome del paese di montagna - una piccola frazione di un piccolo comune nella provincia di Rieti - in cui passai la gran parte delle estati della mia infanzia (i miei genitori, infatti, possiedono una casa in quei meandri). Come tutti i luoghi d'infanzia, è un luogo a cui sono intimamente legato come ad una seconda casa: tale è la sensazione che mi prende quando, ormai raramente, vado a ripercorrere quelle strade montane, attorniato da poche casupole con pochi abitanti. Un senso di protezione e di quiete, che non si può provare se non, appunto, nella propria dimora, o in quella che fu la dimora dei giochi di un giovane ragazzo che cresceva e diveniva adulto, da bambino facendosi uomo. 
La poesia è strutturata come una canzone libera non tradizionale in cui a ottonari si alternano decasillabi (solitamente, nella canzone della tradizione poetica italiana si ha invece una alternanza di endecasillabi e settenari, versi più musicali e più perfetti). I versi iniziali incominciano nominando gli elementi terrigeni a cui associo l'essenza del posto montanaro: la pietra, la roccia, il legno, l'argilla; tutte cose solide e rozze che fanno da sostrato del materiale di quelle abitazioni. Non vi è altro lì che questo: stabilità immobile, un'aridità quasi mortifera, che sa di deserto e abbandono da Dio e dal mondo. Ma il fiume e le acque che lo attorniano manifestano una parvenza di vita in quelle lande desolate, e così i bambini che giocano e ridono ancora, e i vecchi che passeggiano, bevono e parlano lingue incomprensibili. Nonostante tutto ciò, non provo più la stessa allegrezza nel tornare, nemmeno l'estate, neppure quando un poco il paese si riempie di persone per la tradizionale festa annuale, fatta di processioni, spettacoli e sagre, e dei leggendari fuochi e del ballo finale che allietano l'ultimo giorno a meravigliare finanche i paesi d'intorno. Questa allegrezza si è perduta con i sogni della giovinezza, ora che gli amici di un tempo hanno intrapreso la loro strada - il lavoro e l'amore; la carriera e la famiglia - e io stesso mi sono separato da loro, allontanandomi. Ecco, tutto è lontano, e il mio animo si riempie di tristezza. 
Ebbene, io e il mio paese siamo simili in quanto siamo entrambi soli: entrambi attendiamo un nuovo ciclo, di ricominciare una nuova vita, ancora gioiosa, ancor felice, come una volta. E questi nuovi giorni che verranno, pieni di speranza nel futuro e di fede nel passato, saranno il dolce nutrimento della mia anima assetata e affamata.

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