lunedì 2 marzo 2020

...


CANZONE DELL'ABBANDONO
(o dell'amore deluso)



I - Dolce Marta, Marta mia


Lasciar volli una volta

nel fior di gioventù

donna senza una macchia;

donna lei era, io ancora bambino.

L'abbandonai, come s'abbandona

cane fedele su strada deserta

come Teseo Arianna

- ma nessun Dio felice la salvò.


Il mio pugnale piantai nel suo cuore

impietoso: perché?

Perché feci del male

a amorevole innocente fanciulla?

Perché brutale era

l'istinto, animale

l'indole mia viziosa.



II - Linda dei miei desideri


Altra incontrai, e in codesto incontro

fu presa la mia anima.

Visitai il suo giardino.

Eppur l'anima sua

gemma già colta da mani inadatte

con le mani mie abili

al tocco, con dita dotte sapienti

a coglier non riuscii. 


M'abbandonò. E seppi

il dolore dei boschi inariditi

bruciati, dopo divampante incendio.

La passione compresi

e la pena, il rischio

che grande sentimento porta seco.

Io mai più nol darò.



III - Eva, tragico amore


Poi vidi lei, trasparenza d'angelo

(mera, fosca apparenza)

e le offrii la certezza

di colonna fondante;

l'abissale Eros perfetto, chiaro

come vera luce di Sol diurno.

Le dissi: "Ecco l'Uomo"

ma la mia voce non giunse al suo orecchio. 


Di perle e colori vestita, ella

fredda infine rispose:

"No; non voglio i tuoi doni di virtù.

Di Mammona non sei diletto figlio".

L'odio allora in me crebbe

frutto amaro, e non lesinai ingiuria

di sguardi e di parole.



IV - Con me stesso in solitudine


Tarda a venire il sollievo dei giorni.

L'attendo, ma la memoria flagella

con colpi di bastone

la mente malandata.

'Dimentica!', sentenzia la ragione:

ma non obbedisce il corpo ferito.

Di nuovo rialzerò

il verde sguardo fiero

su orizzonti lontani; nuovamente

saprò di gioia saggiare i sorrisi

e elargir baci tiepidi d'amore.


Ma non è ancora il tempo. 

*
Commento:

Questa poesia, in struttura di una canzone libera - nell'alternanza di endecasillabi e settenari sciolti -, fu scritta come un compendio delle mie ultime tre storie d'amore, quasi per esorcizzarne la sofferenza implicita provocata dal lasciare (la prima donna), e dall'essere lasciato (dalle altre due donne). 
Tornando indietro nei ricordi, rammentai il primo amore di gioventù, appena maggiorenne. La colpa nel lasciare una ragazza che m'amava, forse l'unica ad avermi realmente, stabilmente amato fino ad allora, si mostra in tutta la sua forza: la lasciai in quanto ero un ragazzo ancora immaturo, non pronto a cogliere il senso di una relazione d'amore; mentre lei, come la gran parte delle femmine, era già matura e predisposta a quel significato. Non venne Dioniso a redimere la mia azione malvagia e a salvarla dalla solitudine, giacché nel mondo terreno non vi è giustizia divina, e lei, così buona, non meritava affatto quella pena. La tradii infatti per una femmina sessualmente più esperta, e dunque per me più attraente, per poi lasciarla, dopo due anni e mezzo, al suo dolore. Eppure ben presto questo dolore dato fu indirettamente ripagato, quasi in un ritorno karmico, dal successivo dolore ricevuto. 
La seconda era anch'ella fidanzata, ma, al contrario di ciò che feci io, lei non lasciò mai il suo uomo. Fui allora il suo amante, seppure per un anno mi trovai a essere io il suo compagno primo e indiscusso. Ma quando egli tornò a lei e loro si riappacificarono, la sua scelta ricadde, nuovamente, su di lui: quindi io venni abbandonato dalla persona che amavo, così come una volta avevo abbandonato la persona che mi amava. Lì compresi la grande pena dell'innamorato rifiutato, quella pena che brucia e rende aridi (e per quattro anni e mezzo, spossato com'ero e deluso, non volli conoscere femmina, né intraprendere relazione alcuna), e non pienamente corrisposto, e mi ripromisi di non donare mai più quel dolore a nessuna donna.
Con la terza, più che un amore, fu un conflitto che si tramutò, dopo due anni, in una passione d'odio. Vedevo lei come un diavolo con le vesti di un angelo del cielo, giacché in principio la ritenevo appunto un angelo infinitamente caro, ma poi scoprii il suo egoismo, la sua spietata venalità legata alla convenienza. Non ero economicamente un buon partito per lei, che covava altri sogni d'amore di ben altra, e superiore, ricchezza (l'anticristiano Mammona citato nei vangeli quale falso idolo), seppur la ricchezza materiale e il sentimento (Eros perfetto) mal si accordano l'uno con l'altro. Ad ogni modo, ella mi sconquassò come una nave su di un mare in tempesta, sbattendomi qua e là con i suoi umori mutevoli e la sua perenne indecisione nei miei confronti - un giorno era un sì appassionato, il giorno dopo un no deciso -, tanto che finii per detestarla con tutto il cuore e torurarla io stesso quasi in una inconsapevole vendetta reciproca, un circolo vizioso da cui non potevamo uscire se non con una certa dose di violenza. 
Infine, nell'ultima stanza, sono a riassumere la mia condizione emotiva in un intimo dialogo con me stesso. Ciò che ne emerge è un immenso dolore, una sofferenza indicibile, ma anche una grande speranza in un futuro migliore, che porti un altro e più sano, più bello, amore.    

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