lunedì 30 marzo 2020

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POESIA SENZA CONFINI



Quando a morte suonano le campane in lontananza

da chiesa ben nascosta tra edifici cittadini

e si fa attendere l'ascesa dei pensieri muti;

quando lavorando, giorno e notte in strenua fatica

nell'istantaneo fermarsi: "Perché?" si chiede l'Io

e risposta non trova a fondamentale domanda;

quando obliato nell'ombra alcuno sa della tua vita

quella vita che in troppa considerazione tieni

tu di serietà adornato, severo nel giudizio

ecco: allor fa capolino il ciel sereno e vero

e dietro l'angolo scuro l'amor si mostra tiepido

a rammentare il flusso d'energia che scorre rapido

al di là dei tristi volti e della mia volontà.

E all'alba dell'orizzonte il mondo, quello in cui siamo

insieme nel terrifico dolore e nel piacere

tramonta poi come frivolo impostore, che inganna

o grida ciò che orecchio umano non vuol mai sentire.

Ma tu non sei con me, questo il mio cruccio, ciò che suole

tormentare le belle giornate, e pur le notti

di noia costellate simili a mosaici antichi

le tessere dorate, minute, due dimensioni.

Chi e cosa cerco, oggi e domani? Io non lo so.

Ma so che sto cercando, sì procedendo a tentoni

per giungere a approdo disarmante, sicuro approdo

ove poter sconfinare i limiti miei inauditi. 

*
Commento:

Questo componimento enigmatico, vestito di versi sciolti di ben quindici sillabe, voleva essere un modo per incarnare i pensieri che sorsero nella mia mente in un momento di quiete e riflessione, in cui mi trovai a meditare, assieme, su me stesso e sul mondo. 
Sentivo le campane della chiesa del mio quartiere suonare in lontananza - era sera -, e quel suono mi faceva pensare a un funerale. Ci volle un po' perché le idee e le immagini prendessero forma nel mio capo. Pensai al mio lavoro, che mi teneva impegnato per nove ore al giorno; un lavoro che non amavo più di tanto, e non era neppure ben retribuito. Mi chiesi il perché del mio affannarmi quotidiano, per qualcosa di così poco importante. Nella mia solitudine pensavo, poi, di essere dimenticato da tutto e da tutti, come se la mia esistenza dovesse destare necessariamente un interesse per le persone che militavano nella mia cerchia; ma mi accorsi che non era una pretesa fondata: che giudicavo severamente gli altri come me stesso, e che prendevo troppo sul serio la mia vita, una come tante altre nel mondo. 
A quel punto, ebbi una sorta di illuminazione. Mi parve, infatti, di aver svelato una grande verità, che paragonai al trasparente cielo. Ricordai allora le poche persone che mi amavano; che, seppur non presenti, stavano lì, lontane ma vicine, a far sentirmi il loro amore pur senza far nulla. Il mondo stesso mi sembrava mi amasse di un amore incondizionato, quel mondo che è pervaso di energia in lungo e in largo, un'anima impersonale che avvolge e abbraccia tutte le cose, al di là delle percezioni umane. Perciò, vidi il mondo tramontare, come se esso, con la sua apperenza materiale, non facesse che ingannare gli uomini con la sua illusione di consistenza, mentre la realtà più vera è, piuttosto, qualcosa di inconsistente (una vacuità di buddistica memoria). 
Quindi tornai in me, da questa estasi metafisica, e pensai a ciò che nella mia vita ancora mancava: una donna a farmi compagnia, per contemplare insieme la, ora, noiosa bellezza dei giorni e delle notti, una bellezza sublime, quasi artistica, antica e dorata. Non sapevo bene cosa cercavo in lei, e nelle cose. Eppure cercavo, e questo era l'importante, giacché solo cercando si può sperare di arrivare alla meta tanto anelata, da me come da qualsiasi essere umano: un'isola di tranquillità, una terra stabile su di un mare di incertezza, dove poter essere se stessi in libertà, e liberamente procedere oltre se stessi.

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