LA CITTÀ CHE MUORE
Sì vive Civita di Bagnoregio
o il paese che lentamente muore;
vive ancora, resistendo in dispregio
al tempo che pur l'oblia senza cuore.
E giammai morrà, finché d'essa il pregio
d'arte antica e di medievale amore
starà lì lieto a destare sgomento.
Ma d'eternità un soffio io anche sento
io che qui schivo il giogo delle ore:
non perirà delle parol l'ardore
né dello scorrere il lungo tormento.
*
Commento:
Dopo
l'ennesimo tormento d'amore, me ne andai a ricercare me stesso in
quella località turistica, molto famosa, che è Civita di Bagnoregio. In
dedica a quel luogo diroccato e sperduto, che mi colpì il cuore, scrissi
questa piccola poesia, dalla metrica allungata (fu infatti in origine
pensata come un'ottava rima, ma poi si diede la necessità
dell'inserimento di tre versi aggiuntivi per completare il discorso
poetico iniziato).
Civita
è detta "la città che muore", in quanto borgo medievale, arroccato su
di un monte, che ha perduto, nel tempo, tutti i suoi abitanti e la sua
vita quotidiana, diventando un monumento caratteristico di quell'era
oscura, come tanti splendidi altri ve ne sono in Italia. E tuttavia, il
paese continua a vivere di vita propria, come se la sua storia fosse
destinata a non finire; una vita che è data dalla bellezza di quei
vicoli così epocali e suggestivi - così come epocale e suggestivo è pure
il panorama che dall'alto di quel monte si può godere d'intorno,
sterminato paesaggio ameno -. Un complesso architettonico e naturale
straordinario, compendio di edifici ben amalgamati alla natura
circostante, quasi quelli fossero un prolungamento di quest'ultima, in
una continuità che desta meraviglia.
Ebbene,
codesta meraviglia è proprio ciò che rende tale paese eterno, pur nello
scorrere angoscioso del tempo che ogni cosa oblia nel suo passaggio:
così io anche partecipo, per un attimo, di quell'eternità, di quella
durata dilatata all'infinito in cui le ore sono niente, e le parole sono
stemmi o simboli che permarranno nei giorni a venire.
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