lunedì 30 marzo 2020

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LA CITTÀ CHE MUORE



Sì vive Civita di Bagnoregio

o il paese che lentamente muore;

vive ancora, resistendo in dispregio

al tempo che pur l'oblia senza cuore.

E giammai morrà, finché d'essa il pregio

d'arte antica e di medievale amore

starà lì lieto a destare sgomento.

Ma d'eternità un soffio io anche sento

io che qui schivo il giogo delle ore:

non perirà delle parol l'ardore

né dello scorrere il lungo tormento.

*
Commento:

Dopo l'ennesimo tormento d'amore, me ne andai a ricercare me stesso in quella località turistica, molto famosa, che è Civita di Bagnoregio. In dedica a quel luogo diroccato e sperduto, che mi colpì il cuore, scrissi questa piccola poesia, dalla metrica allungata (fu infatti in origine pensata come un'ottava rima, ma poi si diede la necessità dell'inserimento di tre versi aggiuntivi per completare il discorso poetico iniziato).
Civita è detta "la città che muore", in quanto borgo medievale, arroccato su di un monte, che ha perduto, nel tempo, tutti i suoi abitanti e la sua vita quotidiana, diventando un monumento caratteristico di quell'era oscura, come tanti splendidi altri ve ne sono in Italia. E tuttavia, il paese continua a vivere di vita propria, come se la sua storia fosse destinata a non finire; una vita che è data dalla bellezza di quei vicoli così epocali e suggestivi - così come epocale e suggestivo è pure il panorama che dall'alto di quel monte si può godere d'intorno, sterminato paesaggio ameno -. Un complesso architettonico e naturale straordinario, compendio di edifici ben amalgamati alla natura circostante, quasi quelli fossero un prolungamento di quest'ultima, in una continuità che desta meraviglia. 
Ebbene, codesta meraviglia è proprio ciò che rende tale paese eterno, pur nello scorrere angoscioso del tempo che ogni cosa oblia nel suo passaggio: così io anche partecipo, per un attimo, di quell'eternità, di quella durata dilatata all'infinito in cui le ore sono niente, e le parole sono stemmi o simboli che permarranno nei giorni a venire.

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