martedì 14 aprile 2020

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QUARANTENA
(una pandemia)


Rinchiusi in una casa
non si ferma la vita;
ché di vita è pervasa
la stanza sì gremita
di giochi e senza uscita.
Popolazione invasa
da epidemia che intasa
le strade, non c'aita
a vincer la partita
che già perdemmo in casa.

Ma il virus che ci uccide
non ha corona o nome:
è un gigante che ride
e ch'è lontano come
astro oscuro. Le chiome
del capo suo che stride
sono lingue omicide
che lambiscono indome
ogni petto e ogni addome.
Nessun uomo lo vide.

Ignoranza è quel male
che nelle crisi austere
(l'arroganza che sale
dalle bugie più nere)
nelle mattine e sere
braccia e gambe c'assale
in impeto mortale;
è l'impulso a tenere
all'Ego, e ad avere:
a dire e fare il male.

*
Commento: 

Queste tre stanze di settenari rimati - dimodoché le due uniche rime presenti si amalgamino in maniera perfetta lungo tutta la strofa, e l'ultimo verso di ogni gruppo di quattro in cui tali due rime sono strutturate (in ordine: forma alternata, baciata e incrociata), coincida con il primo del gruppo successivo, per un totale di dieci versi - ha come tema l'epudemia che oggi ha colpito il mondo intero uccidendo migliaia di persone per causa di un aggressivo virus influenzale che mai si era veduto in passato, e che prende il nome di coronavirus.
La pandemia ha avuto come effetto una perdita di libertà dei cittadini colpiti; ovverosia i governi, per far fronte al pericolo e contenere il rapido contagio, hanno decretato una quarantena o isolamento forzato in casa e la chiusura di tutte le attività sociali, con la sola possibilità di uscire per far fronte ai bisogni strettamente fondamentali quali la salute, il lavoro più essenziale, e le scorte di cibo. E tuttavia, seppure in reclusione nelle proprie case, la vita non si ferma, ma ognuno continua a svolgere le proprie attività e i propri passatempi all'interno delle quattro mura che delineano il confine invalicabile dei propri spazi ristretti, laddove il tempo oramai si dilata e scorre lento e sempre identico, un giorno uguale all'altro, chi in compagnia dei familiari chi in solitudine. Proprio dalla quarantena io mi trovo a compilare questo luogo virtuale riempiendolo con le mie poesie e i commenti alle mie poesie.
I governi non furono celeri nell'applicare le misure necessarie (e le misure già in ritardo adottate non sono neppure state sufficienti, né totalmente adeguate all'emergenza), e la popolazione non fu così ligia al dovere e responsabile dall'accettarle di buon grado e porle in atto velocemente: perciò affermo che le persone non ci aiutarono - soprattutto nella fase iniziale di espansione della malattia - ad affrontare la situazione critica. D'altronde, proprio dal momento in cui si è resa inevitabile la limitazione delle libertà, ciò ha significato che avevamo perso la battaglia contro il virus, e le centinaia di morti giornaliere nel nostro paese, più che in altri paesi maggiormente popolosi, stanno lì a dimostrarlo.
Ciò è accaduto in quanto il nemico contro il quale avremmo dovuto lottare non è il coronavirus, né la malattia che ci colpisce attualmente è l'influenza da coronavirus. Vi è un male molto più grande che impedisce agli uomini di agire razionalmente, di usare la ragione per produrre un comportamento sensato. Tale nemico, che paragono a un gigante che da lontano ride di noialtri mentre porta via le nostre vite, è l'ignoranza: l'ignorare ciò che siamo dentro di noi, il mondo fuori di noi, e ciò che avviene intorno a noi. Ignorando tutto ciò, mancando cioè della conoscenza di noi stessi, del mondo e dei fenomeni, non possiamo mai far fronte agli accadimenti nel modo migliore. L'ignorante, infatti, tende pure a mostrarsi arrogante per ostentare un sapere che non possiede, e così facendo non fa altro che diffondere la propria ignoranza, tramite la rete - dove ogni cosa può essere sostenuta senza fonti e ogni cosa può trovare consenso tra le masse perlopiù prive di intelligenza -, e mediante la costruzione di menzogne. 
Infine, a questo stato di insipienza si associa, ancor più gravido di nefande conseguenze, l'egoismo di chi dona a se stesso una maggiore considerazione rispetto all'altro, reputandosi superiore all'altro nel possedere una verità che in realtà non possiede, e la tendenza, tutta contemporanea, a tener conto di ciò che si ha, in tal caso, appunto, una verità fittizia, piuttosto che di ciò che si è. 

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