QUANDO MORIRE VOLEVO
(La scelta)
Quando morire volevo, ieri andai
senza sapere d'andare. Costeggiavo
il ciglio friabile di un fondo dirupo
come invasato d'un male detto amore
ma amore non era: ché io m'ammalai
e l'anima nel corpo più non sentivo.
Cresciuto com'ero nella sorda assenza
di passione, schiavo sì fui di chi quella
fisica presenza che mai ebbi avuta
mi donava, come fonte d'acqua torbida
per un assetato ch'altro mai non brami.
Ma splendido fu soffrire il mio dolore
splendente la pena intessuta d'amore.
E disperato in oblio la mente e il cuore
io immolai su altare d'un sacrificio
e voltandomi nulla al mondo scorgevo
non le persone, non le cose, neppure
il tempo che fluido scorreva ad ondate
amare di giorni e notti ormai perduti
vuoti giorni e lunghe notti, dai miei incubi
gretti costellati, privi di alcun senso.
Eppure oggi tutto è diverso. Guarito
dai mali, di zone depresse non vedo
neppur l'ombra. Ma una volta ancora scelgo
di vivere simile a nube nel cielo
vasto di nubi, che lieta si dissolve
cosciente in azzurro di quieti vapori
e destinata al sol termine del Tutto
che impermanente appare e quindi scompare
per non lasciar traccia alcuna d'esser stato.
*
Commento:
Di versi sciolti in dodecasillabi mi servo per ricordare (dopo la consapevolezza vi è infatti la memoria serena, priva di turbamento) il momento più buio della mia vita, quello in cui caddi, per non più di qualche mese, in uno stato di depressione.
La depressione, questo male così banalizzato dal senso comune, quasi fosse una mera tristezza, o un generico stato di malinconia. Le persone però non sanno, non si rendono conto di che cosa significhi, per un essere umano, essere depressi, ovvero ammalarsi di quella che, a tutti gli effetti, è una vera e propria malattia mortale, in quanto con i suoi pensieri suicidi ricorrenti minaccia l'esistenza stessa di chi la esperisce. E tale fui io, dopo esser stato abbandonato, per l'ennesima volta, da quella donna a cui avevo regalato l'anima intera, asservendomi come si asservisce un cane al proprio padrone; fui un uomo che non trovava più alcun significato alla propria misera vita, e il cui unico desiderio era di uccidersi per porre fine a quell'agonia insensata del vivere.
Un vivere che non è vivere, ma morire lentamente, un morire ad occhi aperti. Infatti, non vedevo più nulla attorno a me se non la morte: non percepivo più lo scorrere del tempo - e non saprei dire infatti esattamente quanto durò quella condizione -; ogni giorno era identico all'altro, in cui mi svegliavo sperando che la giornata si sarebbe presto conclusa, e mi addormentavo pregando il cielo di non risvegliarmi mai più dal mio sonno. Non avevo più piacere nel fare nulla: non nell'uscire, non nel bere, non nel vedere gli amici, non nello studiare o nel lavorare, non nel leggere e nello scrivere, e niente aveva più valore, attorniato ed invaso com'ero dal Nulla tremendo.
E tra pianti, patimenti e programmi di assassinio di me stesso, completamente abbattuto e sfiancato, ci fu qualcuno che mi aiutò, piccole luci nell'oscurità più fitta: una psicologa con la sua ragione, una psichiatra con le sue medicine, degli amici e delle amiche col loro affetto sincero; e, infine, ripresi in mano la mia dolce vita, decidendo di essere chi sono ora.
Oggi, infatti, non ho paura d'essere me stesso. E fiero di me stesso, simile a un sopravvissuto in un lungo naufragio, mi pasco in un esistere che, seppure impermanente come ogni cosa nel suo divenire, sa di lietezza e godimento, per chi di lietezza e godimento ebbe strenuo bisogno.
Nessun commento:
Posta un commento